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«Noi donne» Edizione Romagnola, a. I, n. 1, 1 giugno 1944
Il numero si apre con un articolo firmato "Noi donne" dal titolo "Avanti, nella lotta!..." che annuncia l'uscita del periodico attorno a cui devono «stringersi» tutte le donne romagnole «operaie, impiegate, massaie e contadine - senza distinzione di fede politica o religiosa», «che aspirano alla liberazione della Patria dall'oppressore tedesco e suoi satelliti». L'articolo chiama le donne romagnole a costituire i Gdd nelle città, nelle fabbriche, nei rioni, negli uffici, nei paesi per «difendere in forma concreta gli interessi vitali del nostro popolo, per esigere condizioni di vita più umana: un salario corrispondente al costo della vita, l'aumento delle razioni dei generi alimentari, il latte per i nostri figli, il pane per le nostre famiglie. Per esigere la fine dell'infame guerra tedesca, il ritorno dei nostri mariti, dei nostri fratelli, dei nostri fidanzati, dei nostri figli alla vita civile, al lavoro per ricostruire la nostra Patria, per edificare una vita degna di essere vissuta». L'articolo si chiude con le parole: «Sorelle, "Noi donne" è il nostro giornale, è la nostra bandiera: difendetela, diffondetela!».
L'articolo "Come le donne possono intensificare l'aiuto ai valorosi Partigiani" riprende l'appello dei Gdd inviato nella primavera 1944 accompagnato da una lettera della Commissione femminile nazionale del 20 aprile 1944 in cui leggiamo: «Cari compagni, vi mandiamo un articolo dei "Gruppi di difesa della donna" da inserire nei nostri giornali locali. Dove esiste un giornale locale, tipicamente femminile, e dove non esiste, nella stampa di Partito, esso deve essere pubblicato il più presto possibile, e il più largamente possibile. Le nostre organizzazioni, possono trarre dall'articolo, il testo per un manifestino prendendo per questo il passaggio dove si elencano i medicinali, e si citano fra tante altre numerose attività con cui le donne possono dare prova di solidarietà attiva per i combattenti della libertà» (cfr. scheda 364). Il testo, dopo aver descritto brevemente in cosa consiste la lotta partigiana e chi vi sta prendendo parte, invita le donne a mobilitarsi in ogni modo per sostenere la Resistenza e i partigiani, ed elenca una serie di attività, in parte già svolte, e in parte da svolgere: raccolte di fondi, raccolte di indumenti, sostegno morale, raccolta informazioni su fascisti e tedeschi, attività di radiotelegrafiste, primo soccorso e assistenza sanitaria come infermiere, raccolta medicinali e materiali sanitari, mobilitazione per l'assistenza e l'accoglienza presso famiglie contadine dei figli piccoli dei partigiani. Il documento insiste particolarmente sull'assistenza sanitaria e sulla necessità di raccogliere medicinali e materiali che vengono elencati in dettaglio. Si menziona la partecipazione diretta delle donne come combattenti all'interno delle formazioni partigiane, specificando che si tratta di «una iniziativa che salutiamo con molto entusiasmo, ma non è alla portata di tutte», mentre i compiti indicati nel documento sono appannaggio di ciascuna donna. L'appello è rivolto a tutte le donne: «ogni donna italiana meritevole di questo titolo, può e deve portare il suo contributo alla lotta di liberazione».
Segue una "Lettera delle donne comuniste di Forlì ai Soldati, Commissari e Comandanti" delle brigate Garibaldi della Romagna, firmata dal comitato forlivese delle donne comuniste. Le donne del Pci forlivese salutano i partigiani, dichiarano di ammirarli e appoggiarli nella loro lotta di cui conoscono i sacrifici, l'asprezza e l'importanza. Per rappresentare la propria vicinanza ai partigiani combattenti e dimostrare la comunanza nella lotta e nei suoi obiettivi le donne elencano le attività svolte nelle città: scioperi e manifestazioni per protestare contro la fucilazione di arrestati e renitenti alla leva o per evitarla, scioperi e manifestazione in cui le donne hanno avuto un ruolo fondamentale; raccolta di indumenti, generi di prima necessità, denaro per i partigiani; mobilitazione delle donne e costituzione dei Cln femminili.
L'articolo "L'importante contributo delle donne alla lotta di liberazione" elenca alcuni degli scioperi e delle manifestazioni a cui le donne hanno preso parte nel mese di marzo in diverse zone d'Italia.
L'articolo "Un tenero grido di battaglia" risulta scritto da una tredicenne che dice di rendersi conto che tutti devono fare qualcosa per l'Italia invasa dai tedeschi, ma di essere troppo giovane per poter fare qualcosa in prima persona, se non «offrir il babbo al pericolo e al sacrificio e seguir[e] col cuore» i liberatori.
L'articolo "Fierezza delle donne italiane" esalta la «fermezza d'animo», con cui le donne e in particolare le donne romagnole, seguono i partigiani e con cui reagiscono alla morte di coloro che vengono uccisi. «Sono orgogliose e combattive, sanno di combattere per la Patria, per l'avvenire dei propri figli, per una nuova vita degna di essere vissuta».
Nel numero vi sono due trafiletti rivolti alle «Compagne» relativi all'assistenza sanitaria prestata dalle donne ai combattenti e alle donne forlivesi che hanno partecipato agli scioperi e che devono essere d'esempio alle altre.
Alessandro Bianconcini
Cln femminili (forse si intendono i Gdd)
Brigate Garibaldi
- Rivendicazioni economiche
L'edizione romagnola di «Noi donne». Organo di difesa delle donne romagnole fu stampata per volontà del Partito comunista forlivese sotto la responsabilità di Nello Marconi, che curava anche altre testate per conto del partito. Collaboravano all'edizione di «Noi donne» le organizzatrici dei Gdd forlivesi Maria Graffiedi (nata l'8 dicembre 1911 a Forlì, riconosciuta partigiana nella 29ª Gap), Teresa Valmori (nata il 30 ottobre 1904 a Predappio (FC), antifascista, fu più volte minacciata e aggredita dai fascisti e nel 1930 espatriò clandestinamente in Francia. Arrestata dalla polizia francese nel 1940 fu consegnata agli italiani. Operaia a Forlì, organizzò le lotte delle donne nel 1941. Durante la Resistenza fu staffetta del comando della 8ª brigata Garibaldi tra pianura e montagna, riconosciuta partigiana) e Ofelia Garoia (nata a Forlì il 3 gennaio 1909, partigiana dell'8ª brigata Garibaldi, staffetta militare al servizio dell'ufficiale di collegamento del Comando unico militare Emilia-Romagna, dopo la guerra fece parte della Consulta nazionale nel periodo dell'Assemblea costituente). I numeri 1 e 2 di giugno e luglio 1944 furono stampati in 1.500 copie nella tipografia Croppi da Alvaro Bulgarelli, mentre il supplemento fu ciclostilato nella tipografia clandestina del Pci di Forlì a Villa Sisa. Cfr. C. Albonetti, V. Flamigni, R. Maltoni (a cura di), Giornali dell'antifascismo forlivese (1 maggio 1943-9 novembre 1944), presentazione di A. Boldrini, Forlì, Istituto storico della Resistenza di Forlì, 1975, p. 222. Il n. 1 è edito ivi, p. 223-226.
Alessandro Bianconcini, nato il 7 agosto 1909 a Imola, comunista svolse attività di opposizione al fascismo nel corso degli anni Trenta, prima a Imola e poi in Francia dove emigrò per sottrarsi alle persecuzioni. Combattente in Spagna nelle brigate internazionali in appoggio alla repubblica. Arrestato in Francia e consegnato alla polizia italiana fu prima incarcerato e poi inviato al confino. Dopo il 25 luglio 1943 tornò libero e contribuì ad organizzare il fronte antifascista a Imola. A inizio gennaio 1944 fu arrestato dai fascisti che lo incarcerarono a Imola e lo torturarono. Dopo l'uccisione del federale del Partito fascista repubblicano di Bologna, un fatto a cui era estraneo, Bianconcini venne trasferito a Bologna, dove fu sottoposto ad un processo sommario insieme ad altri antifascisti arrestati in precedenza. Fu ucciso il 27 gennaio 1944 al poligono di tiro di Bologna con Alfredo Bartolini, Romeo Bartolini, Francesco D'Agostino, Ezio Cesarini, Zosimo Marinelli, Cesare Budini e Silvio Bonfigli. Il suo nome fu dato alla 36ª brigata Garibaldi operante sull'Appennino imolese. Riconosciuto partigiano.
Cfr. A. Albertazzi, L. Arbizzani, N.S. Onofri, Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese (1919-1945), vol. II, Dizionario biografico A-C, Bologna, Comune di Bologna, Istituto per la storia di Bologna, 1985, p. 252.